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      Che il Croce sia stato sempre ossessionato dal materialismo storico e lo sia tuttora in forma anche piú acuta che nel passato non è difficile dimostrare. Che una tale ossessione sia diventata spasmodica in questi ultimi anni è dimostrato: dagli accenni contenuti negli Elementi di politica, dal suo intervento a proposito dell'estetica del materialismo storico nel Congresso di Oxford (cfr. notizia pubblicata nella «Nuova Italia»), dalla recensione delle opere complete di Marx Engels pubblicata nella «Critica» del 1930, dall'accenno contenuto nei Capitoli introduttivi di una Storia dell'Europa nel secolo XIX, dalle lettere al Barbagallo pubblicate nella «Nuova Rivista Storica» del 1928-29 e specialmente dall'importanza data al libro del Fülöp-Miller, come appare da alcune note pubblicate nella «Critica» nel 1925 (mi pare).
      Se è necessario, nel perenne fluire degli avvenimenti, fissare dei concetti, senza i quali la realtà non potrebbe essere compresa, occorre anche, ed è anzi imprescindibile, fissare e ricordare che realtà in movimento e concetto della realtà, se logicamente possono essere distinti, storicamente devono essere concepiti come unità inseparabile. Altrimenti avviene ciò che avviene al Croce, che la storia diventa una storia formale, una storia di concetti, e in ultima analisi una storia degli intellettuali, anzi una storia autobiografica del pensiero del Croce, una storia di mosche cocchiere. Il Croce sta cadendo in una nuova e strana forma di sociologismo «idealistico», non meno buffo e inconcludente del sociologismo positivistico.


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Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce
di Antonio Gramsci
pagine 451

   





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