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      La città è come un rogo che illumina perché brucia ciò che fu creato lontano da lei e talvolta contro di lei. Tutte le città sono sterili. Vi nascono in proporzione pochi figlioli e quasi mai di genio. Nelle città si gode, ma non si crea, si ama ma non si genera, si consuma ma non si produce». (A parte le numerose sciocchezze «assolute», è da rilevare come il Papini abbia dinanzi il modello «relativo» della città non città, della città Coblenza dei consumatori di rendita agraria e casa di tolleranza).
      Nello stesso numero della «Fiera Letteraria» si legge questo brano: «Il nostro arrosto strapaesano si presenta con questi caratteri: avversione decisa a tutte quelle forme di civiltà che non si confacciano alla nostra o che guastino, non essendo digeribili, le doti classiche degli italiani; poi: tutela del senso universale del paese, che è, per dirla alla spiccia, il rapporto naturale e immanente fra l'individuo e la sua terra; infine, esaltazione delle caratteristiche nostrane, in ogni campo e attività della vita, e cioè: fondamento cattolico, senso religioso del mondo, semplicità e sobrietà fondamentali, aderenza alla realtà, dominio della fantasia, equilibrio fra spirito e materia». (Da notare: come sarebbe esistita l'Italia odierna, la nazione italiana, senza il formarsi e lo svilupparsi delle città e senza l'influsso cittadino unificatore? «Strapaesanismo» nel passato avrebbe significato municipalismo - come significò - disgregazione popolare e dominio straniero. E il cattolicismo stesso si sarebbe sviluppato se il Papa, invece di risiedere a Roma, avesse avuto la residenza a Scaricalasino?


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Note sul Machiavelli sulla politica e sullo Stato moderno
di Antonio Gramsci
pagine 599

   





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