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      Per esperienza del processo attraverso cui tali catastrofi avvengono. Nessuna indulgenza per chi compie un atto contrario ai suoi principî «repentinamente» e intendo repentinamente in questo senso: per non aver pensato che il rimaner fermi in certi principî avrebbe procurato sofferenze e non averle prevedute. Chi, trovatosi d’un tratto dinanzi alla sofferenza, prima ancora di soffrirla o all’inizio della sofferenza, muta atteggiamento, non merita indulgenza. Ma il caso si pone in forme complesse. È strano che di solito si sia meno indulgenti coi mutamenti «molecolari» che con quelli repentini. Ora il movimento «molecolare» è il piú pericoloso, ché, mentre dimostra nel soggetto la volontà di resistere, «fa intravedere» (a chi riflette) un mutamento progressivo della personalità morale che a un certo punto da quantitativo diventa qualitativo: cioè non si tratta piú in verità, della stessa persona, ma di due. (S’intende che «indulgenza» non significa altro che mancanza di filisteismo morale, non già che non si tenga [conto] del mutamento e non si sanzioni; la mancanza di sanzione significherebbe «glorificazione» o per lo meno «indifferenza» al fatto e ciò non permetterebbe di distinguere la necessità e la non necessità, la forza maggiore e la vigliaccheria). Si è formato il principio che un capitano non debba abbandonare la nave naufragata che per ultimo, quando tutti si sono salvati, anzi si giunge in alcuni ad affermare che in tali casi il capitano «deve» ammazzarsi. Queste affermazioni sono meno irrazionali di quanto potrebbe sembrare.


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Passato e presente
di Antonio Gramsci
pagine 364