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      Il postulato quindi è, in questo senso, una proposizione richiesta ai fini della dimostrazione e costruzione scientifica.
      Nell’uso comune, invece, postulato significa un modo di essere e di operare che si desidera realizzare (o conservare, se già realizzato; o anzi, che si vuole e, in certi casi si deve, attuare o conservare) o si afferma essere il risultato di una indagine scientifica (storia, economia, fisiologia, ecc.). Perciò si fa spesso confusione (o si interferisce) tra il significato di «rivendicazione», di «desiderata», di «esigenza» e quello di «postulato» e di «principio»; i postulati di un partito politico o di uno Stato sarebbero i suoi «principî» pratici, da cui conseguono immediatamente le rivendicazioni di carattere piú concreto e particolare (esempio: l’indipendenza del Belgio è un postulato della politica inglese, ecc.).
     
     
      Privilegi e prerogative. Fissare i significati storici dei due termini. Mi pare che se in uno Stato moderno sarebbe assurdo parlare di privilegi a determinati gruppi sociali, non altrettanto assurdo è invece parlare di prerogative. D’altronde, di prerogative non si può parlare che con riferimento ai corpi costituiti e con riferimento alle funzioni politiche, non come benefici nella vita economica: la prerogativa non può non essere «strettamente» legata alla funzione sociale e all’esplicazione di determinati doveri. Perciò è da vedere se i «privilegi» non sono che «prerogative» degenerate, cioè involucri senza contenuto sociale e funzionale, benefici mantenuti parassitariamente anche quando la funzione da cui erano giustificati era morta o si era spostata a un nuovo gruppo sociale, che quindi aveva il gravame funzionale senza avere tutti i mezzi giuridico-politici per esplicarlo regolarmente.


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Passato e presente
di Antonio Gramsci
pagine 364

   





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