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      Gli articoli di giornale sono di solito affrettati, improvvisati, simili, in grandissima parte, per la rapidità dell’ideazione e dell’argomentazione, ai discorsi da comizio. Sono pochi i giornali che hanno redattori specializzati e, d’altronde, anche l’attività di questi è in gran parte improvvisata: la specializzazione serve per improvvisare meglio e piú rapidamente. Mancano, specialmente nei giornali italiani, le rassegne periodiche piú elaborate e ponderate (per il teatro, per l’economia ecc.), i collaboratori suppliscono solo in parte, e, non avendo un indirizzo unitario, lasciano tracce scarse. La solidità di una cultura può essere perciò misurata in tre gradi principali: a) quella dei lettori di soli giornali; b) quella di chi legge anche riviste non di varietà; c) quella dei lettori di libri, senza tener conto di una grande moltitudine (la maggioranza) che non legge neanche i giornali e si forma qualche opinione assistendo alle riunioni periodiche e dei periodi elettorali, tenute da oratori di livelli diversissimi. Osservazione fatta nel carcere di Milano, dove era in vendita «Il Sole»: la maggioranza dei detenuti, anche politici, leggeva «La Gazzetta dello Sport». Tra circa 2500 detenuti si vendevano al massimo 80 copie del «Sole»; dopo la «Gazzetta dello Sport» le pubblicazioni piú lette erano la «Domenica del Corriere» e «Il Corriere dei Piccoli».
      È certo che il processo dell’incivilimento intellettuale si è svolto per un periodo lunghissimo specialmente nella forma oratoria e retorica, cioè con nullo o troppo scarso sussidio di scritti: la memoria delle nozioni udite esporre a viva voce era la base di ogni istruzione (e tale rimane ancora in alcuni paesi, per esempio in Abissinia). Una nuova tradizione comincia coll’Umanesimo, che introduce il «compito scritto» nelle scuole e nell’insegnamento: ma si può dire che già nel Medioevo, con la scolastica, si critichi implicitamente la tradizione della pedagogia fondata sull’oratoria e si cerchi di dare alla facoltà mnemonica uno scheletro piú saldo e permanente.


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Passato e presente
di Antonio Gramsci
pagine 364

   





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