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      Il pericolo di non vivacità morale è invece rappresentato dalla teoria fatalistica di quei gruppi che condividono la concezione della «naturalità» secondo la «natura» dei bruti e per cui tutto è giustificato dall’ambiente sociale. Ogni senso di responsabilità individuale si viene cosí a ottundere e ogni responsabilità singola è annegata in una astratta e irreperibile responsabilità sociale. Se questo concetto fosse vero, il mondo e la storia sarebbero sempre immobili. Se, infatti, l’individuo, per cambiare, ha bisogno che tutta la società si sia cambiata prima di lui, meccanicamente, per chissà quale forza extraumana, nessun cambiamento avverrebbe mai. La storia invece è una continua lotta di individui e di gruppi per cambiare ciò che esiste in ogni momento dato, ma perché la lotta sia efficiente questi individui e gruppi dovranno sentirsi superiori all’esistente, educatori della società, ecc. L’ambiente quindi non giustifica, ma solo «spiega» il comportamento degli individui, e specialmente di quelli storicamente piú passivi. La «spiegazione» servirà talvolta a rendere indulgenti verso i singoli e darà materiale per l’educazione, ma non deve mai diventare «giustificazione» senza condurre necessariamente a una delle forme piú ipocrite e rivoltanti di conservatorismo e di «retrivismo».
      Al concetto di «naturale» si contrappone quello di «artificiale», di «convenzionale». Ma cosa significa «artificiale» e «convenzionale» quando è riferito ai fenomeni di massa? Significa semplicemente «storico», acquisito attraverso lo svolgimento storico, e inutilmente si cerca di dare un senso deteriore alla cosa, perché essa è penetrata anche nella coscienza comune con l’espressione di «seconda natura». Si potrà quindi parlare di artificio e di convenzionalità con riferimento a idiosincrasie personali, non a fenomeni di massa già in atto.


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Passato e presente
di Antonio Gramsci
pagine 364