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      È egli possibile che ci sia stato un secolo - il Cinquecento appunto - il quale abbia avuto la disgrazia di nascere senza una propria fisonomia spirituale o che di tale fisonomia si sia compiaciuto (?!) a riverberare un’immagine falsa proprio nella poesia lirica? Il piú intellettualmente vivace, il piú spiritualmente intrepido, il piú cinico dei secoli, dicono i suoi tanti avversari (!!), avrebbe ipocritamente dissimulato il suo vero animo nella studiata armonia dei sonetti e delle canzoni petrarcheggianti; oppure si sarebbe divertito a mistificare i posteri, fingendo nei versi un platonico sospiroso idealismo, che poi le novelle, le commedie, le satire, tante altre testimonianze letterarie di quell’età, smentiscono apertamente?». Tutto il problema è falsato a pieno, nella sua impostazione, da conflitti e contraddizioni intime.
      E perché il Cinquecento non potrebbe essere pieno di contraddizioni? Non è anzi esso proprio il secolo in cui si aggruppano le maggiori contraddizioni della vita italiana, la cui non soluzione ha determinato tutta la storia nazionale fino alla fine del Settecento? Non c’è contraddizione tra l’uomo dell’Alberti e quello di Baldassar Castiglione, tra l’uomo dabbene e il «cortegiano»? Tra il cinismo e il paganesimo dei grandi intellettuali e la loro strenua lotta contro la Riforma e in difesa del Cattolicesimo? Tra il modo di concepire la donna in generale (che poi era la dama alla Castiglione) e il modo di trattar la donna in particolare, cioè la donna del popolo?


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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