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      Questa mentalità è diffusa sia nelle correnti democratiche di origine mazziniana, sia in quelle conservatrici di origine neoguelfa e giobertiana, ed è legata all’idea di una «missione» nazionale, nebulosamente intesa e misticamente intuita; in ogni caso si cristallizza in gallofobia, poiché appare che sia stata la Francia a carpire all’Italia la primogenitura civile dell’eredità di Roma. Nel periodo del Risorgimento, la lotta contro l’Austria attutí questo sentimento, ma oggi, dopo la scomparsa dell’Impero austriaco, esso ha ripreso e si è ancora acuito per le quistioni balcaniche, che sono viste come un riflesso del malanimo francese.
     
      Nella formazione dello Stato unitario italiano c’è stata «eredità» di tutte le funzioni politico-culturali svolte dai singoli staterelli precedenti o c’è stata, da questo punto di vista, una perdita secca? Cioè la posizione internazionale che venne ad occupare il nuovo Stato riassumeva le singole posizioni particolari degli Stati regionali precedenti, oppure accanto a ciò che fu guadagnato ci fu anche qualcosa di perduto? E le perdite ebbero una conseguenza negli anni di vita unitaria dal ’61 al 1914? La quistione non pare sia oziosa. È evidente, per esempio, che altro era il rapporto verso la Francia del Piemonte con la Savoia e altro quello dell’Italia senza la Savoia e Nizza; ciò si dica anche per la Svizzera e per la posizione di Ginevra. Cosí per il regno di Napoli: l’influenza del Napoletano nel Mediterraneo orientale, i rapporti con la Russia e con l’Inghilterra, non potevano essere quelli dell’Italia.


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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