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      Esiste una certa tendenza a sopravalutare l’apporto delle classi popolari al Risorgimento, insistendo specialmente sul fenomeno del volontariato. Le cose piú serie e ponderate in proposito sono state scritte da Ettore Rota nella «Nuova Rivista Storica» del 1928-29. A parte l’osservazione fatta in altra nota sul significato da dare ai volontari, è da rilevare che gli scritti stessi del Rota mostrano come i volontari fossero mal visti e sabotati dalle autorità piemontesi, ciò che appunto conferma la cattiva direzione politico-militare. Il governo piemontese poteva arruolare obbligatoriamente soldati nel suo territorio statale, in rapporto alla popolazione, come l’Austria poteva fare nel suo e in rapporto a una popolazione enormemente piú grande: una guerra a fondo, in questi termini, sarebbe sempre stata disastrosa per il Piemonte dopo un certo tempo. Posto il principio che «l’Italia fa da sé» bisognava o accettare subito la Confederazione con gli altri Stati italiani o proporsi l’unità politica territoriale su una tale base radicalmente popolare che le masse fossero state indotte a insorgere contro gli altri governi, e avessero costituito eserciti volontari che fossero accorsi accanto ai piemontesi. Ma appunto qui stava la quistione: le tendenze di destra piemontesi o non volevano ausiliari, pensando di poter vincere gli austriaci con le sole forze regolari piemontesi (e non si capisce come potessero avere una tale presunzione), o avrebbero voluto essere aiutati a titolo gratuito (e anche qui non si capisce come politici seri potessero pretendere un tale assurdo): nella realtà non si può pretendere entusiasmo, spirito di sacrifizio, ecc., senza una contropartita neppure dai propri sudditi di uno Stato; tanto meno si può pretenderla da cittadini estranei allo Stato su un programma generico e astratto e per una fiducia cieca in un governo lontano.


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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