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      Né il confronto con la Rivoluzione francese del 1789 è calzante, perché allora Parigi svolse un ruolo che nell’Italia del dopo ’48 nessuna città poteva svolgere con qualsiasi programma. La quistione deve essere impostata nei termini della «guerra di movimento-guerra d’assedio», cioè per cacciare gli austriaci e i loro ausiliari italiani era necessario: 1) un forte partito italiano omogeneo e coerente: 2) che questo partito avesse un programma concreto e specificato; 3) che tale programma fosse condiviso dalle grandi masse popolari (che allora non potevano essere che agricole) e le avesse educate a insorgere «simultaneamente» su tutto il paese. Solo la profondità popolare del movimento e la simultaneità potevano rendere possibile la sconfitta dell’esercito austriaco e dei suoi ausiliari. Da questo punto di vista non tanto giova il contrapporre Pisacane al Mazzini, quanto il Pisacane al Gioberti, che aveva una visione strategica della rivoluzione italiana, strategica non nel senso strettamente militare (come il Mazzini riconosceva al Pisacane), ma politico-militare. Ma anche al Gioberti mancava un partito, e non solo nel senso moderno della parola, ma anche nel senso che allora aveva la parola, cioè nel senso della Rivoluzione francese di movimento degli «spiriti». Del resto il programma del Mazzini politicamente era, per il tempo, troppo «determinato» e concreto in senso repubblicano e unitario, a differenza di quello del Gioberti che piú si avvicina al tipo di giacobino quale era necessario all’Italia d’allora.


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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