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      Anche ammesso che il Salvotti sia da giudicare irreprensibile sia personalmente, sia come funzionario austriaco, ciò non muta che i processi da lui imbastiti fossero contrari alla nuova coscienza giuridica rappresentata dai patrioti rivoluzionari e apparissero loro mostruosi. La condizione dell’imputato era difficilissima e delicatissima: anche una piccola ammissione poteva avere conseguenze catastrofiche non solo per l’imputato singolo, ma per tutta una serie di persone, come si vide nel caso del Pallavicino. Alla «giustizia» stataria, che è una forma di guerra, non importa nulla della verità e della giustizia obiettiva: importa solo distruggere il nemico, ma in modo che appaia che il nemico merita di essere distrutto e ammette egli stesso di meritarselo. Un esame degli scritti «storico-giudiziari» del Luzio potrebbe dar luogo a tutta una serie di osservazioni di metodo storico interessanti psicologicamente e fondamentali scientificamente (è da confrontare l’articolo di Mariano d’Amelio Il successo e il diritto nel «Corriere della Sera» del 3 settembre 1934).
      3) Questo modo di fare la storia del Risorgimento alla Luzio ha mostrato il suo carattere fazioso specialmente nella seconda metà del secolo scorso (e piú determinatamente dopo il 1876, cioè dopo l’avvento della sinistra al potere): esso è stato addirittura un tratto caratteristico della lotta politica tra cattolici-moderati (o moderati che desideravano riconciliarsi coi cattolici e trovare il terreno per la formazione di un gran partito di destra che attraverso il clericalismo avesse una base larga nelle masse rurali) e i democratici, che per ragioni analoghe, volevano distruggere il clericalismo.


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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