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      E perché le classi agricole erano assenti? Non erano esse la maggioranza del popolo toscano, cioè la «forza nazionale»? La paura degli «eccessi» non era la paura che tali classi entrassero in movimento per le loro rivendicazioni progressive, e i «paurosi» non erano i retrivi conservatori di uno statu quo antinazionale, tanto vero che era quello dell’antico regime? Si tratta dunque di una ripetizione del vecchio principio: Franza o Spagna, purché se magna. Granducato o Italia unita, purché le cose rimangano come sono: il fatto politico e nazionale è indifferente, ciò che conta è l’ordinamento economico-sociale che deve essere conservato contro le forze nazionali progressive. Cosí è della paura delle diplomazie. Come può una rivoluzione aver paura delle diplomazie? Questa paura non significa coscienza di essere subordinati all’estero e di dover trascurare le esigenze nazionali per le pretese straniere? L’apologetica del Puccioni parte da concezioni ben meschine e basse: ma perché chiamare «nazionale» ciò che è solo servile e subalterno? «Quanto piú avevan tardato i moderati ad afferrare l’idea che ispirò i rivoluzionari ed a sentire la necessità dell’adesione al Piemonte, tanto piú decisi (?), dopo un lavoro di ricostruzione, furono nel sostenerla, predicarla, effettuarla, a dispetto (!) delle contrarie diplomazie, a contrasto con le indebite (!) ingerenze dei seguaci del sovrano fuggito. Non è il caso di preoccuparci (!) se i moderati accederono a cose fatte (- o non furono precursori?


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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