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      Invece i lazzarettisti o cristiani giurisdavidici, come amano chiamarsi, continuano a vivere: raccolti per lo piú nel villaggio arcidossino di Zancona, con qualche proselite sparso nelle borgate adiacenti, trassero dalla guerra mondiale nuovo alimento per stringersi sempre piú fra loro nella memoria del Lazzaretti, che, secondo i seguaci, aveva tutto previsto, dalla guerra mondiale a Caporetto, dalla vittoria del popolo latino, alla nascita della Società delle Nazioni. Di quando in quando, quei fedeli si fanno vivi fuor del loro piccolo cerchio con opuscoli di propaganda, indirizzandoli ai «fratelli del popolo latino», e in essi raccolgono qualcuno dei tanti scritti, anche poetici, lasciati inediti dal Maestro e che i seguaci custodiscono gelosamente.
      Ma che cosa vogliono i cristiani giurisdavidici? A chi non è ancora tocco dalla grazia di poter penetrare nel segreto del linguaggio dei Santi non è facile comprendere la sostanza della loro dottrina. La quale è un miscuglio di dottrine religiose d’altri tempi, con una buona dose di massime socialistoidi e con accenni generici alla redenzione morale dell’uomo, redenzione che non potrà attuarsi se non col pieno rinnovamento dello spirito e della gerarchia della Chiesa Cattolica. L’articolo XXIV che chiude il «Simbolo dello Spirito Santo», costituente come il «Credo» dei lazzarettisti, dichiara che «il nostro istitutore David Lazzaretti, l’unto del Signore, giudicato e condannato dalla Curia Romana, è realmente il Cristo Duce e Giudice nella vera e viva figura della seconda venuta di nostro Signore Gesú Cristo sul mondo, come figlio dell’uomo venuto a portare compimento alla Redenzione copiosa su tutto il genere umano in virtú della terza legge divina del Diritto e Riforma generale dello Spirito Santo, la quale deve riunire tutti gli uomini alla fede di Cristo in seno alla Cattolica Chiesa in un sol punto e in una sola legge in conferma delle divine promesse». Parve per un momento, nel dopoguerra, che i lazzarettisti si incanalassero «per una via pericolosa», ma seppero ritrarsene a tempo e dettero piena adesione ai vincitori.


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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