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      Socialisti piú evoluti e intelligenti capirono benissimo dove andavo a vulnerarli e me lo dissero. Altri meno onesti tolsero al mio articolo il punto interrogativo; cosí che da una quistione posta dubitativamente ed interrogativa, si passò ad una affermativa. Nell’altro campo dei proprietari, parecchi che non mi avevano letto, o che non capivano nulla, mi considerarono come un vero espropriatore; e cosí con la migliore intenzione in difesa del principio di proprietà, bersagliato tra i due fuochi di opposti interessi mi convinsi... che avevo ragione!» (corsivo dall’autore).
      Questa lettera del senatore G. Tanari è notevole per la sua ipocrisia politica e per le sue reticenze. Occorre notare: che il Tanari si guarda bene dal dare le indicazioni precise dei suoi scritti, che risalgono alla fine del ’17 o ai primi del ’18, mentre egli, molto abilmente, ma anche con molta rozza slealtà, cerca di far credere del dopoguerra. Ciò che spinse il Tanari a occuparsi della divisione della terra e a sostenerla esplicitamente (naturalmente egli ha ragione quando sostiene che voleva rafforzare la classe dei proprietari, ma non è questa la quistione) fu lo spavento che invase la classe dirigente per le crisi militari del ’17 e che la spinse a fare larghe promesse ai soldati contadini (cioè alla stragrande maggioranza dell’esercito). Queste promesse non furono mantenute e oggi il marchese Tanari si «vergogna» di essere stato debole, di avere avuto paura, di aver fatto della demagogia la piú scellerata.


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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