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      Di carattere retrivo in Italia sono da ricordare brani incompiuti di Federico De Roberto e di Vittorio Imbriani (Naufragazia, frammento di romanzo inedito, con un’avvertenza di Gino Doria, nella «Nuova Antologia» del 1° agosto 1934).
      2) In un articolo di Giuseppe Gabrieli su Federico Cesi linceo, nella «Nuova Antologia» del 1° agosto 1930, si afferma un nesso storico-ideologico tra la Controriforma (che, secondo il Gabrieli, contrappose all’individualismo, acuito dall’Umanesimo e sbrigliato dal Protestantesimo, lo spirito romano (!) di collegialità, di disciplina, di corporazione, di gerarchia, per la ricostruzione (!) della società), le Accademie (come quella dei Lincei, tentata dal Cesi, cioè il lavoro collegiale degli scienziati, di tipo ben diverso da quello dei centri universitari, rimasti medioevali nei metodi e nelle forme) e le idee e le audacie delle grandi teorie, delle riforme palingenetiche e delle ricostruzioni utopistiche dell’umana convivenza (la Città del Sole, la Nuova Atlantide, ecc.).
      In questo nesso c’è troppo di stiracchiato, di unilaterale, di meccanico e di superficiale. Si può sostenere, a maggior ragione, che le Utopie piú famose sono nate nei paesi protestantici e che, anche nei paesi della Controriforma, le Utopie sono piuttosto una manifestazione, la sola possibile e in certe forme, dello spirito «moderno» essenzialmente contrario alla Controriforma (tutta l’opera di Campanella è un documento di questo lavoro «subdolo» di scalzare dall’interno la Controriforma, la quale, del resto, come tutte le restaurazioni, non fu un blocco omogeneo, ma una combinazione sostanziale, se non formale, tra il vecchio e il nuovo). Le Utopie sono dovute a singoli intellettuali, che formalmente si riattaccano al razionalismo socratico della Repubblica di Platone e che sostanzialmente riflettono, molto deformate, le condizioni di instabilità e di ribellione latente delle grandi masse popolari dell’epoca; sono, in fondo, manifesti politici di intellettuali, che vogliono raggiungere l’ottimo Stato.


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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