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      Aspettando quel giorno noi continuiamo a dare alla parola il suo vecchio significato, e continuiamo ad applicarla ai demagoghi, cioè a quelli che si servono di sgambetti logici per apparire nel vero, che falsano scientemente i fatti per apparire i trionfatori, che per ubriacarsi della vittoria di un istante sono insinceri o affrettati.
      Ci hanno chiamati demagoghi perché ci piace chiamare «pescicani» i fornitori militari. E ci hanno fatto osservare che alcuni di questi pescicani pagano duemila lire la loro inserzione nel nostro giornale. Siamo «demagoghi» perché non ci lasciamo guidare nelle nostre valutazioni dal criterio dell'utile; evviva dunque la demagogia. Siamo demagoghi perché non siamo imbecilli, perché non vogliamo confondere l'inconfondibile. Perché non ci vergogniamo che il nostro giornale prenda duemila lire per un contratto di pubblicità liberamente accettato, perché in libera concorrenza con gli altri datori di pubblicità, mentre siamo persuasi che debbono vergognarsi dei loro guadagni, che possono essere chiamati «pescicani» quelli che abusano della loro indispensabilità, della mancanza di concorrenza per svaligiare l'erario pubblico, per imporre i prezzi che permettano gli arricchimenti subitanei e il ritiro in pensione dei fortunati che hanno approfittato del momento buono. Perché non muoviamo dalle apparenze fallaci, perché non giudichiamo dal criterio dell'utile immediato, siamo demagoghi, e gli altri sono persone serie, maestri di bel vivere. Con questi capovolgimenti di senso comune si dimostra la nostra disonestà, la nostra demagogia.


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Scritti politici
Prima parte
di Antonio Gramsci
pagine 279