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      L'intransigenza conquista al partito questa inerzia, e la conquista è effettiva perché fatta con l'organizzazione, attraverso il fine generale, il programma massimo. La collaborazione è morte dello spirito, perché è assenza di distinzione, di plasticità politica. Il «simpatizzante» dovrebbe dimostrare che il fine massimo dei socialisti è arbitrario, che la classe, oltreché astrazione, è astrazione arbitraria, che non aderisce ai fatti, neppure negativamente. Dimostrare che esistono i fatti in sé, fuori del giudizio degli uomini, come qualcosa di fatale e non di necessario dialetticamente. Dimostrare che la vita è confusione e non chiarezza, che le idee generali sono astrattismi e non concrete realtà quanto il cannone e le manette. Cosí solo potrà dimostrare che l'intransigenza è passività e reazione e non, come noi crediamo, metodo necessario e sufficiente perché la realtà effettiva si organizzi e si riveli, perché la storia dialetticamente necessaria si affermi, sia pure questa storia la reazione degli altri e non il «democraticismo», ideologico e vacuo di Giovanni Giolitti che in concreto ha sempre voluto dire: protezione doganale, accentramento statale con la tirannia burocratica, corruzione del Parlamento, favori al clero e alle caste privilegiate, schioppettate sulle strade contro gli scioperanti, mazzieri elettorali. Ha voluto dire anche qualche pizzico di legislazione sociale, ma per gli intransigenti le leggi sono inutili se non corrisponde loro il costume, e queste leggine sono sbagli, in senso classista, perché non essendoci il costume diffuso, sono diventate privilegi di categorie.


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Scritti politici
Prima parte
di Antonio Gramsci
pagine 279

   





Giovanni Giolitti Parlamento