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      L'istituzione è simpatica. Del resto i lavoratori di tutto il mondo sono stati i primi a riconoscerla tale e da qualche decina d'anni hanno fatto entrare nella tradizione il «giorno del lavoro», il Primo Maggio. Perché non dovrebbero anche i borghesi accogliere altri giorni, o adottare l'istituzione agli e usi locali»? Sarebbe una prova di maturità economica e politica (ma forse appunto per questo non metterà radici tanto presto). Pensate infatti. Il regime economico scioglie tutti i vincoli che uniscono gli individui gli uni agli altri. Il lavoro d'officina, l'ufficio, il viaggiare per affari, il servizio militare, determinano un continuo spostarsi degli individui, rarefanno i contatti intellettuali, rendono nervose e saltellanti le conversazioni, gli scambi d'opinione. La società viene disgregata dall'azione dell'economia capitalistica, nei suoi organi morali e politici piú efficaci: la famiglia, il comune, la regione. Gli individui reagiscono a quest'azione dissolvente e stabiliscono le date fisse: in una domenica tra tutti gli individui di una nazione si disserta sull'amore familiare, su un problema istituzionale, su una questione di politica internazionale. Risuscita, a data fissa, la comunione spirituale, la società che il regime ha dissolto; risuscita ampliata, con orizzonti piú vasti, ricca di valori nuovi. In queste creazioni della civiltà capitalistica c'è indubbiamente una grandezza che impone rispetto: rispetto che vorremmo fosse sentito per il «giorno del lavoro» che celebrato in tutto il mondo dà già una misura per il paragone di grandezze tra l'Impero borghese e l'Internazionale socialista.


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Scritti politici
Prima parte
di Antonio Gramsci
pagine 279

   





Primo Maggio Impero Internazionale