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      È anzi quasi certo, ch’essi cominciano già fin d’ora a guardare con una certa diffidenza la loro opera appena compiuta, e debbono confessare a se medesimi nel segreto delle coscienze, d’aver lavorato invano.
      Questo sembra essere appunto lo stato d’animo dei maggiori statisti, che hanno a Versailles gettato sulla carta i fondamenti della Europa novella, e in procinto di separarsi, dando uno sguardo all’edifizio a gran pena costrutto, presentono la precarietà dell’opera e disperano del suo avvenire. Né in verità si può dar loro torto, ché a dimostrazione perentoria dell’inanità dei loro sforzi ricostruttivi, sta soprattutto la situazione orientale. Là è la causa del maggior turbamento, là il punctum pruriens dell’intero organismo, di là nell’ora presente si drizza il piú enimmatico spettro sul sanguigno orizzonte della nostra civiltà. Pretendere di dar pace ed ordine all’Europa, finché non sia pacificato e ordinato l’immenso tratto di terre orientali che dal Baltico al Mar Nero, che dagli Urali alla Vistola e ai Carpazi, abbraccia piú che la metà dell’intero continente, è piú che una illusione, è una sfacciata menzogna. Se è vero, come dicesi, che Clemenceau abbia in un crocchio di intimi pronunciato queste parole: «la questione russa avvelena tutte le mie gioie e mi dà le maggiori preoccupazioni sull’avvenire della Francia», bisogna riconoscere che il vecchio giacobino ha tuttora un intuito finissimo della realtà politica, e non si fa molte illusioni sulla reale portata dei suoi successi diplomatici.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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