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      La borghesia imperialista ha attuato qualche cosa di simile durante la guerra, per i suoi fini; ottenuta la vittoria, l’organizzazione economica che dava pane, riso, ferro, carbone al popolo italiano perché resistesse fino alla vittoria, è caduta, ogni popolo è rientrato nei quadri della proprietà e della possibilità nazionali: l’aiuto dato, una volta raggiunto il fine, è diventato un debito, è diventato una pietra al collo. Si tratta di ricostruire questa organizzazione, per un fine, non transitorio, non episodico, ma che rappresenta una necessità permanente, che si identifica col processo di sviluppo storico della civiltà mondiale. Questo fine può essere attuato dall’Internazionale comunista, se essa riesce a ottenere da ogni proletariato il rendimento storico che esso è capace di dare: il proletariato italiano, per la sua ricchezza demografica, per la sua ricchezza di energia rivoluzionaria, può essere la determinante della rivoluzione mondiale, può essere la forza vulcanica in grado di far saltare gli ultimi baluardi della reazione mondiale. Ma per compiere questa sua missione, irta di difficoltà, piena di sacrifizi e di dolori senza fine, il proletariato italiano deve sottoporsi a una disciplina di ferro, nazionalmente e internazionalmente. Solo a tale condizione si salverà il popolo italiano dall’abisso, dove l’hanno cacciato i suoi dirigenti borghesi, ciechi, ignoranti, vanitosi, che ancora continuano a ragionare come se la guerra mondiale non avesse lasciato tracce altro che nell’ordine del sentimento e della politica.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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