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      L’estensione della crisi è tale che da essa non si esce che in un modo: o con lo schiacciamento generale della classe operaia o con la morte completa del capitalismo. Con questo però di differenza: che solo la classe operaia è capace di ristabilire l’equilibrio nel mondo della produzione che la guerra ha mandato in isfacelo. La classe operaia non ha perciò che una via: lottare fino alla vittoria, se vuol salvare se stessa e l’umanità intera dalla rovina dell’apparecchio generale della produzione. Prima condizione di questa vittoria, naturalmente, è resistere contro l’assalto padronale alle condizioni di vita raggiunte dalla classe operaia. La proposta che i comunisti hanno fatto ai massimi organismi sindacali d’Italia per una battaglia su un fronte esteso contro la reazione padronale, sorretta e incoraggiata dall’appoggio dei governi, ha appunto il significato di voler richiamare l’attenzione delle masse su questo loro primo dovere.
      I dirigenti della Confederazione e della Unione sindacale hanno finora risposto al Comitato sindacale comunista, i primi mostrando di ignorarlo ed i secondi dicendosi scettici del valore e della possibilità del fronte unico contro la classe padronale. Non è ciò che conta. I dirigenti dell’uno e dell’altro organismo hanno obbedito, rispondendo a sentimenti propri, che crediamo non possono essere e non saranno condivisi dalle masse che soffrono le conseguenze terribili della crisi. I dirigenti riformisti della Confederazione possono ben dire che il padronato è oggi il piú forte, ma questo ragionamento essi l’hanno sempre fatto, e gli operai d’altra parte non sono mai stati piú forti dei padroni.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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