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      Le conseguenze furono disastrose: il collaudo incominciò a respingere fino al 50 per cento della produzione di molti reparti; il livello della produzione cadde fino a 15 vetture al giorno. Politicamente, gli industriali hanno raggiunto i loro fini: le Commissioni interne, formate di socialisti, non dànno piú noia alcuna ai dirigenti; gli operai sono disciplinatissimi; nessuno parla; nessuno si muove dal suo posto; non si fanno comizi; non circolano giornali sovversivi; non si discute. Ma la produzione è caduta da 70 vetture a 15 vetture, e la qualità è scaduta nella misura dimostrata dal circuito di Brescia.
      Possono smentire questi dati gli allegri scrittori della Perseveranza e degli altri giornali «che si preoccupano delle sorti dell'industria nazionale»? Una cosa appare evidente dalle esperienze industriali di questi anni passati: 1) la classe dominante non possiede piú un ceto di imprenditori capace di governare la produzione industriale; la guerra, se ha esaurito, con le sue privazioni e coi suoi orari lunghissimi di lavoro, la classe operaia, ha però esaurito in una misura superiore gli imprenditori, che si sono pervertiti con la speculazione bancaria e hanno perduto la capacità di organizzare e di amministrare le grandi masse d'officina; 2) la classe operaia, quantunque non abbia l'esperienza e la «maturità» politica e tecnica della classe dominante, tuttavia riesce meglio della classe borghese a gestire la produzione. Capitalismo significa oggi disorganizzazione, rovina, disordini in permanenza.


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Scritti politici
Terza parte
di Antonio Gramsci
pagine 415

   





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