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      Mi ci vuole poco sforzo per accogliere la sua opinione che questo stato di cose non può durare e che gravi avvenimenti sono imminenti; è perfettamente logico, ma non lo si «sente», né si «vede». Non ci sarà la possibilità di un'azione politica operaia fino a che i problemi concreti che si presentano ad ogni operaio dovranno essere risolti individualmente e privatamente, come è oggi: c'è da salvare il posto, la paga, la casa e la famiglia: il sindacato e il Partito non possono dare alcun aiuto, anzi tutt'altro; si ottiene un po' di pace solo facendosi piú piccoli possibile, polverizzandosi; e aumenta un po' la paga, lavorando molto e cercando dei lavori straordinari, facendo concorrenza agli altri operai, ecc.: la vera negazione del Partito e del sindacato. La crisi economica si è ormai attenuata tanto che se ci fosse un minimo di libertà sindacale e di ordine pubblico, sarebbe possibile la ripresa delle organizzazioni, degli scioperi, ecc. (come per es. in Inghilterra). La questione urgente, pregiudiziale a qualsiasi altra, è quella della «libertà» edell'«ordine»: dopo verranno le altre, ma per ora non possono neppure interessare gli operai. Ora, un alleggerimento della pressione fascista non credo possa essere ottenuto dal Partito comunista: è il momento delle opposizioni democratiche e mi par necessario lasciarle fare e magari aiutarle. È necessario prima di tutto, una «rivoluzione borghese», che permetterà poi lo svolgersi di una politica operaia. In sostanza mi sembra che, come durante la guerra, non ci sia altro da fare se non aspettare che passi.


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Scritti politici
Terza parte
di Antonio Gramsci
pagine 415

   





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