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      Tanto vero che i riformisti e persino i fascisti ammettono la lotta sindacale elementare, anzi sostengono che il proletariato come classe non debba esplicare altra lotta che quella sindacale. I riformisti si differenziano dai fascisti solo in quanto sostengono che se non il proletariato come classe, almeno i proletari come individui, cittadini, lottino anche per la «democrazia in generale», cioè per la democrazia borghese, in altre parole lottino solo per mantenere o creare le condizioni politiche della pura lotta di resistenza sindacale.
     
      Perché la lotta sindacale diventi un fattore rivoluzionario, occorre che il proletariato l'accompagni con la lotta politica, cioè che il proletariato abbia coscienza di essere il protagonista di una lotta generale che investe tutte le quistioni piú vitali dell'organizzazione sociale, cioè abbia coscienza di lottare per il socialismo. L'elemento «spontaneità» non è sufficiente per la lotta rivoluzionaria: esso non porta mai la classe operaia oltre i limiti della democrazia borghese esistente. È necessario l'elemento coscienza, l'elemento «ideologico», cioè la comprensione delle condizioni in cui si lotta, dei rapporti sociali in cui l'operaio vive, delle tendenze fondamentali che operano nel sistema di questi rapporti, del processo di sviluppo che la società subisce per l'esistenza nel suo seno di antagonismi irriducibili, ecc.
     
      I tre fronti della lotta proletaria si riducono a uno solo, per il Partito della classe operaia, che è tale appunto perché riassume e rappresenta tutte le esigenze della lotta generale.


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Scritti politici
Terza parte
di Antonio Gramsci
pagine 415

   





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