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      Imbonire i giurati è un dovere dell'avvocato, secondo la morale corrente; ma cercare di imbonire i colleghi del consiglio con l'agilità da saltimbanco della logica formale, se la sentenza non deve essere data subito, è anche discretamente idiota. L'avvocato cerca di ipnotizzare il pubblico insistendo su due o tre motivi: «L'importante è che la nazione colmi il deficit». «L'Esposizione aveva fini nazionali quindi è dovere dello Stato intervenire». Ed in fondo è anche stato di una inconsciamente schietta brutalità quando ha detto: «Se riconoscete necessario che lo Stato paghi, non dovete domandare che i conti siano presentati prima di questo fatto, perché probabilmente, se i conti vengono pubblicati prima, lo Stato non paga». Ma è questa necessità, imprescindibile secondo il grande avvocato, che noi appunto neghiamo. Lo Stato deve intervenire solo nel caso che sia esaurientemente accertato che il passivo era inevitabile per il fatto che si volle dare all'Esposizione un carattere nazionale. Perciò, del suo intervento non si deve fare una pregiudiziale; anzi, il grande avvocato, impostando in tal modo la sua causa, la rovina, perché il gioco luminoso delle belle parole o ha l'effetto di determinare immediatamente la sentenza in un certo senso, oppure mostra subito la corda. Perché, signori miei, risponde l'opinione pubblica, se avete tanta paura che il governo, conosciuti i conti, non voglia piú pagare, vuol dire che sotto ci deve essere qualcosa che a noi piace recisamente sia ben messa in chiaro.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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