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      Nel secolo XVI Gerolamo Fracastoro, un ameno fratacchione, scrisse l'enorme poema in lingua latina, De morbo gallico, nel quale cantò, con ispirazione che non ha uguale se non nei poemetti agresti di Saverio Fino, la malattia che gli eserciti di Carlo VIII (sempre uguali i soldati invasori) avevano importato in Italia. Da allora ferve l'interessante polemica su quale sia stata la nazione che prima ha fatto dono al mondo del male nuovo, meno elegante certo dell'appendicite e dell'emicrania. Ma la tradizione popolare che in vari paesi le ha dato il nome di male francese o italiano o spagnolo, e mai germanico, ha posto il brevetto al prodotto e gli ha impressa la pura marca latina. Ed ha ragione il Borini, rappresentante della snella e duttile genialità latina, a protestare contro l'intrusione di elementi tedeschi in un affare che riguarda solo noi latini. Noi abbiamo dato il male, noi dobbiamo trovare il rimedio. Il proverbio spagnolo (vedete, sempre cose di famiglia) dice bene: «Bisogna curare col pelo di cane le ferite prodotte dai denti canini», principio ferreo delle cure omeopatiche. Accettare il prodotto del dottor Ehrlich sarebbe riconoscere alla Germania una superiorità morale, riconoscere che almeno in qualche cosa la tanto decantata superiorità fisica della razza dolicocefala è giustificata.
      Insomma, è vero o non è vero che la scienza tedesca ha scoperto il rimedio finora piú efficace per domare gli effetti deleteri del morbo che si è soliti chiamare gallico? Pio Foà, che per le malattie sessuali ha combattuto molte buone battaglie, è solamente germanofilo quando propone che del 606 il municipio faccia larghi acquisti?


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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