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      Cito ancora: «Or dunque, perché ti spaventi di questo episodio di concentrazione capitalistica, onde sarà possibile la creazione della grande industria?»
      La lettera dell'amico sviluppa diffusamente un sofisma vetusto ormai che si sa dove comincia e non si saprà mai dove possa finire.
      Pare un presupposto rivoluzionario, marxista, e l'illazione che se ne può dedurre va all'approvazione del cento per cento della Fiat, all'esaltazione dell'uomo che ha creato «dal nulla» la colossale azienda, di quell'uomo che può cosí essere innalzato nelle regioni fantastiche dove il sogno nietzschiano foggiava il superuomo.
      La concentrazione capitalistica, la grande industria... Ben detto, amico avvocato! Il proletariato ciò deve agevolare per approfondire i contrasti di classe. Ma è questione d'intendersi sul modo dell'agevolazione. Ricardo diceva che «se il salario alza il profitto abbassa; e, all'inverso, se il profitto alza il salario abbassa». Id est: l'incremento del capitalismo è condizionato allo sfruttamento del proletariato.
      Ora l'amico avvocato non s'avvede come, ad esempio, l'essere fautore della concentrazione capitalistica senza «negarla», senza opporsi ai suoi malefizi, può condurre ad accettare la guerra d'Italia e ad approvare l'invasione tedesca nel Belgio che taluni sofisti di un marxismo a scartamento ridotto vorrebbero attribuire ad un modo ineluttabile di concentrazione economica, ed è cosí che si capovolgono le ragioni della lotta di classe, che è pure uno dei modi piú efficienti dello sviluppo capitalistico.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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