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      E può darsi che Teofilo Rossi, in tal materia giudice competente quant'altri mai, abbia ragione d'essere persuaso che la vanità possa sui ricchi torinesi piú che il «senso del dovere». Si tratta nientemeno di «far conoscere agli italiani, nella prima ricorrenza dell'anniversario della dichiarazione di guerra, la meravigliosa attività patriottica torinese nell'assistenza civile e in tutte le sue svariate forme in quest'anno memorabile». Ed i torinesi ci tengono ad ogni forma di primato di fronte a tutte le altre città d'Italia, sebbene non sentano affatto la voluttà di procurarsi questo primato col sacrificio.
      Ecco, noi siamo piuttosto dell'avviso che questa meravigliosa attività fosse conosciuta dalle famiglie dei soldati di Torino ed in forme concrete, in tanto danaro sonante. Vorremmo che fosse pubblicato e diffuso tra le famiglie dei sussidiati un libro in cui accanto ad ogni offerta fatta fosse segnato in cifra l'offerta che ciascun sottoscrittore avrebbe potuto e dovuto fare, in base ai dati catastali e fiscali. Vorremmo che fosse dimostrato come al sacrificio di sangue abbia corrisposto un sacrificio adeguato di reddito da parte della grassa borghesia. Che fosse diffuso il senso del dovere che si ha verso le famiglie dei combattenti di sostituire in qualche modo le braccia che non possono lavorare e produrre. Ma è questa una nota stonata nella ilare e sbracata comprensione delle proprie funzioni che ha Teofilo Rossi.
      Tra la vanità e il dovere c'è un abisso incolmabile, ed il Rossi aborre dai salti nel buio.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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