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      (10 giugno 1916).
     
     
      ELOGIO D'UN POVERO DELFINO
     
      Magnifica notte di plenilunio in riva al mare. Il porto della piccola città meridionale è silenzioso per la tarda ora. Il mio compagno di passeggio si spoglia rapidamente e fa il tuffo. S'allontana nuotando tranquillo, poi si abbandona supino alle acque che lo cullano e lo riempiono di calma felicità. Un guizzo a qualche metro di distanza, e un muso enorme soffia rumorosamente. Il mio compagno ha un sussulto spasmodico in tutte le membra, di colpo riprende la posizione verticale, rompe l'acqua con enormi bracciate, si attacca alla banchina anelante e s'abbandona sul sasso urlando: un pescecane, un pescecane! Dall'alto di un vecchio mortaio di bronzo, che ormai ha perduto ogni carattere bellicoso, tutto rosicchiato com'è dal morso delle gomene, io impallidisco fremendo, rabbrividendo per il terribile pericolo, per la morte orribile a cui avrei dovuto assistere. Ma sull'acqua azzurrissima inondata dalla luna, un delfino, un innocuo delfino, guizza danzando agilmente, e una risata ristoratrice sbotta dalle nostre gole.
      Ma non bisogna ridere troppo degli innocui delfini. I semaforisti che all'ingresso dei porti vigilano all'incolumità dei bagnanti e dei lavoratori del mare sono seccati spesso da questi graziosi abitatori delle acque che, nei loro tumultuosi greggi, nascondono qualche volta l'insidioso squalo dalle mascelle ben piú formidabili. Perciò talvolta non bisogna meravigliarsi se un marinaio irritato e deluso scaglia l'acuta fiocina sull'inutile animale e lo uccide, abbandonando poi la carcassa ai flutti e alla fame dei minori pesciolini.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742