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      Carmarino, «compianto questore della nostra cittą».
      Ricordiamo tre lapidi che gią esistono nelle vicinanze del palazzo della questura: in via Alfieri 2: «Vittorio Alfieri in questa casa scrisse le tre prime sue tragedie dal 1774-1777»; in via Lagrange 25: «C. Cavour nacque e morķ in questa casa»; in via Lagrange 20: «V. Gioberti nacque in questa casa il 5 aprile 1801». I paragoni sono odiosi, non facciamoli, tanto piś che da una delle parti mancherebbe il contenuto per sostanziarli. Ricordiamo un altro episodio: Giosuč Carducci, invitato a dare la sua adesione per un monumento da erigere a Shelley, rifiuta sdegnosamente, e dice che Shelley, il cuor dei cuori, non ha bisogno di ricordi marmorei, perché l'opera sua immortale lo ricorderą in ogni tempo presso quelli che sono degni di leggerlo.
      A Torino un delegato di pubblica sicurezza, cav. Pietro Donvito, dirama delle circolari, si improvvisa giudice competente di fronte alla storia delle benemerenze di un questore, e trova subito a fiancheggiarlo dodici senatori, un ministro, tredici deputati, quattro direttori di giornali, tre prefetti, senza contare tutti gli altri minori rappresentanti dell'ordine costituito. Carducci, rappresentante della poesia e del buon gusto in tema di monumentomania, si tira indietro di fronte a questa falange di terzi italiani, che rappresentano le genuine tendenze della societą di cui sono i figli legittimi. Non sono nati a Torino nuovi Alfieri, nuovi Gioberti, nuovi Cavour. Chi dunque si dovrą ricordare nelle nuove lapidi, nei nuovi monumenti?


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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