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      Siamo soli, possiamo aprire liberamente la via ai nostri ingenui desideri, mettere in comunione le nostre sobrietà. Non desideriamo troppo, in fondo; viviamo cosí intensamente la vita di tutti, per non desiderare qualche volta il nulla intorno, e dirugginire il nostro io, e liberarci delle scorie sentimentali.
      Uniamo le nostre malinconie che incupiscono per le lettere sgusciate, chissà come, alla vigilanza della divinità che tutela il nostro pessimismo. Le tetre immagini dei morti, delle sofferenze inaudite, di questo intrecciarsi su un terzo della superfice terrestre dei camminamenti di formiche (come direbbe il senatore Garofalo) inconsciamente aspiranti alla preda, non sono compagnie buone per le passeggiate serali della domenica fra gli odori del fieno appena falciato e della terra che ribolle soddisfatta della periodica graveolente razione di concime. Dalle oasi illuminate delle bettole suburbane arriva fin qui lo strepito, il clamore della bombance domenicale. Canti stonati o in armonia di gole rauche, cori di parole senza senso si diffondono intorno. Che malinconia essere afflitti dalla piaga del dovere, credere a nuove formazioni di miti sociali diversi dalla snobistica mania di godimento dei vecchi uomini, della società che abbiamo voluto fuggire! Ci perseguita questo ronzio molesto di giovani che scialacquano il lavoro asfissiante di sei giorni in luridi saturnali. Anime di schiavi che non trovano di meglio che imitare periodicamente i loro padroni? Che unico fine sia davvero fare il signore quando il borsellino è rigonfio, e dimenticare quelli che le lettere ci dipingono realisticamente a brancicare luridumi, a scavare solchi di morte, a seminare di metallo micidiale le intatte cime dei monti, per restituire, inutile, alla terra ciò che essa dà per la vita?


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





Garofalo