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      Osservo. Il palcoscenico non ha niente di interessante. L'operetta è una delle solite volgarissime e banalissime riduzioni. Non una frase, non un motivo che esca dalle comunissime spiritosaggini.
      Un padre che vuol maritare la figliola senza dote, un susseguirsi di avvenimenti slegati, in cui il motivo dominante è la ricerca del trucco per ingannarsi vicendevolmente. Ma il pubblico, commisto di vari elementi sociali disparati, pare s'interessi. Raggruppato intorno ai tavolini con la bibita rinfrescante, circondato dai grandi alberi stormeggianti, dal fiume che fa sentire lo scroscio delle sue acque costrette dalla chiusa, non suggestionato dal raccoglimento chiuso dei teatri soliti che impone al cervello solo quella fetta di vita che si svolge nel palcoscenico, tuttavia il pubblico segue lo spettacolo. E ride, e sorride, pur senza turbarsi o commuoversi affatto. E lo spettatore imparziale, che osserva, si accorge subito che questo benedetto pubblico dei suburbi è molto piú intelligente di quello chic delle poltrone e dei palchi. Perché non concede alla produzione, agli attori e agli autori piú di quanto si meritano. Lo stesso riso discreto fiorisce sulle labbra del passante che ha visto una portinaia imbizzita che sbraita. Lo stesso sorriso senza malignità e senza cattiveria increspa le facce degli affaccendati che all'angolo di una via sorprendono una frase senza senso di un ubriaco dallo scilinguagnolo sciolto che barcolla incompostamente. Le stesse osservazioni banali si sentono fare dai soliti qualunque per ognuno dei casi banali di cronaca.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742