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      Fate sí che la scuola sia veramente scuola, e l'officina non sia un ergastolo, e avrete allora solamente una generazione di uomini utili; utili, perché faranno opera proficua nelle arti liberali, e perché daranno all'officina ciò che le manca: la dignità, il riconoscimento della sua funzione indispensabile, l'equiparamento dell'operaio a qualunque altro professionista.
      (8 settembre 1916).
     
     
      DUE PERE...
     
      In via Don Bosco. Una dimostrazione contro un proprietario di casa che ha sfrattato alcuni inquilini, povera gente, per aver modo di aumentare il fitto. Guardie e carabinieri circondano la casa e tengono a bada i dimostranti, procedendo di tanto in tanto a degli arresti. Gavroche immortale è in mezzo alla folla. Si ride degli agenti, e vuole far ridere. Demolisce l'agente col ridicolo, il monello; vuole farlo apparire alla folla nella sua vera realtà, di ridicolo sbirro manzoniano, che la sghignazzata plebeamente gioconda fa squagliare, come il corvaccio spennacchiato dai pulcini petulanti. Gavroche si pianta fieramente sulle due gambe aperte a compasso, guarda con intenzione i carabinieri e urla, come congestionato dall'eroismo, nel suo dialetto: «Farò giustizia io per i poveri, con le due pere che ho in saccoccia». I corvacci si guardano fra loro: il piano strategico è subito preparato. Due agenti in borghese si infiltrano fra la folla, e d'un tratto due braccia immobilizzano Gavroche, e due mani lo frugano febbrilmente dopo un: Ah! di soddisfazione. «Le mie pere — grida il monello in italiano — le pere della mia colazione!


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





Don Bosco Gavroche