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      Non si tratta solo di sentirsi parte di un tutto sociale che si chiama Italia, o Francia, o Germania, formato di aggruppamenti umani che hanno oltre ai caratteri genericamente astratti di umanità, anche dei caratteri specifici nazionali, creatisi attraverso una differenziazione storica. Si tratta anche di sentire i confini territoriali di questo tutto; far sentire territorialmente la patria è il fine concreto che si propone l'educazione nazionalistica, la quale trova il momento psicologicamente piú adatto alla sua propaganda in tempo di guerra, quando il confine è diventato una cosa viva, che sanguina, è ferito, è lacerato dalla furia belluina della lotta di conquista.
      Eppure si fa rimprovero ai socialisti di non vivere questa idea. Anche quelli che non credono alle idee innate, che non credono al principio naturale, che eguagliano perfettamente civiltà e storia, fanno torto ai socialisti di non avere un'idea territoriale della patria, della nazione. Ricadono nel vecchio pregiudizio evoluzionistico, per cui si immagina la storia come un succedersi ferreo di stadi successivi, attraverso i quali tutti gli uomini devono passare, se non vogliono diminuire la loro umanità. Dall'individuo alla famiglia, alla tribú, al campanile, al comune, e cosí via. La natura non fa salti, quindi i socialisti sono degli idolatri e l'internazionalismo è una mitologia putrida. Il cittadino deve avere un'idea territoriale se vuole essere perfettamente uomo, se vuole essere compiutamente se stesso.
      Ma non c'è evoluzione, nelle idee.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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