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      Sono troppo sottili, evanescenti, indeterminati: hanno tutta l'aria di vanità che riempiono le vanità di fantasmi di nebbia che sfuggono dalla finestra aperta, sotto l'azione del bel sole primaverile, a ogni apertura di libro. Povero papà! quanta pena deve soffrire per tenerli in casa, per impedire che vadano a traviarsi per le bettole del mondo. Ma non peni troppo: si traviano solo le persone robuste e in buona salute; le creature di ricotta non bevono vino, per incompatibilità di carattere: scoppierebbero al primo bicchiere, i poverini.
      Non si offenda crudelmente, di nuovo, il Poeta. La lettura del suo nuovo libro, non può farci cambiare di parere. La poesia non è migliore della prosa, nella nuova letteratura italica di guerra. Ha questo di diverso: la lingua non è ridotta a miscuglio putrido di fondo da rigattiere; non ci sono errori di sintassi; le sgrammaticature sono nel pensiero, nell'immagine; le incongruenze sono nella fantasia, nel barocco modo di concepire del Poeta, che non avendo niente da dire, avvolge questo niente in ampollose amplificazioni verbose, e finge di essere un lago profondo intorbidando il limo retorico nella pozzanghera batracica del suo ingegnuccio.
      La profondità consiste, per esempio, nel dire che la regina dei belgi guarda il suo popolo nei propri occhi (vedere qualcosa nei propri occhi è un colmo di strabismo, profondissimo); nel dire che un popolo, fattosi invio, viene spezzato, ma si rimpietra nei cuori, per quindi diventare canto d'epica; nel dire che le calze preparate dalle signorine pietose, conterranno tra maglia e maglia una parola che tremerà sul cuore dei soldati come un bacio; nel dire che in un'urna «c'è chi c'è» e che gli occhi sono «armati come l'armi». Le trenta pagine di nati puri, non traviati nelle bettole del mondo, sono piene di questi profondamente stupidi preziosismi.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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