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      La «Gazzetta» di Delfino Orsi rivoga i suoi sottilissimi argomenti da bottegaio: non tende l'uomo alla felicità? Ebbene: i neutri stanno male, soffrono piú degli italiani, il che significa che la guerra ha pure apportato una qualche felicità. Incontro un professore. È contro la guerra; non è giolittiano, non è precisamente ciò che si dice un germanofilo. La guerra ha fatto chiudere l'Istituto germanico di Roma: nell'Istituto era raccolta la piú completa collezione di materiale archeologico classico: il professore non può piú attendere alla messe di titoli per la brillante carriera, e perciò è contro la guerra. Mi dibatto fra queste tre forme di schiavitú spirituale: la mia umanità ne soffre, ne è offesa, sente una diminuzione di sé, della propria libertà. Soffrirebbe meno se fosse sicura di aver subito un sopruso eroico, di essere stata vittima di una violenza volontaria. Si trova presa tra la flaccidità melensa dell'egoismo angusto, che si ripiega su se stesso gemendo sconsolatamente, e l'impotenza a creare ogni pensiero storico della suburra democratica e dell'anchilosi mentale cattolica. Tra la fatalità trascendente che determina la storia e spinge gli uomini, inerti batuffoli imbottiti di illusione, verso la morte, e la fatalità immanente nel regime autoritario, che scatena delle forze demoniache, incontrollabili, indisciplinabili, ormai fuori del regno della volontà, operante brutalmente su tutti, neutri e intervenuti, forti e deboli, innocenti e colpevoli; tra queste due fatalità il mio essere piú profondo, che lotta angosciosamente per sublimarsi in una libertà spirituale perfetta, per raggiungere l'adesione piú completa tra l'atto e il fatto, tra la volontà e il successo, vorrebbe divincolarsi in un canto lirico all'uomo piú libero, alla creatura meglio materiata di sostanza eterna che il nostro pensiero, il nostro operare faticoso in un mondo ottuso e inerte, viene preparando.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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