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      Un altro giorno, in nome dei sacri principi, Gius. Vito Galati scrive una filippica contro Enrico Corradini, o, in nome di Mazzini, prende di petto Carlo Marx e lo scaraventa nella geenna degli oggetti smarriti di poco valore senza proprietario riconosciuto. E cosí periodicamente. E anche periodicamente Gius. Vito Galati spedisce agli organi dell'intellettualità di Bitonto, di Radicofani e di Rivarolo Canavese delle cronache torinesi in cui fa il riassunto dei suoi articoli e li porta a testimonianza di un risveglio dell'intellettualità torinese.
      Gius. Vito Galati, si riesce a comprendere qua e là, è un repubblicano. Inoltre è un giovane. È molto conosciuto, e di lui si parla spesso alla mensa dei sottufficiali, ciò che significa essere egli, per lo meno, maresciallo d'alloggio, secondo le ultime informazioni potute racimolare dal nostro reporter. Ha scritto anche un libro; ne scriverà certo molti altri. È giovane ed ha innanzi a sé l'avvenire roseo e fiorito, cioè non è serio, o per usare parole meno di importanza, egli non è ancora in grado di distinguere una mosca da un elefante. Ha fatto una scorpacciata di pagine di Alfredo Oriani e di Raffaele Cotugno, di Francesco Coppola e di Piero Delfino Pesce, di Carlo Cattaneo e di Italo Minunni, e gli è rimasta, nel cervellaccio squinternato, una nube solcata di bagliori di bengala, e specialmente una ridevole vanità di provincialino in tocco. Deve essere un buon figliuolo, rovinato dalle cattive letture, come dicono i parroci. Ma è anche un esemplare della recentissima generazione italiana, impotente a conquistarsi un'anima, a farsi una cultura, una coscienza.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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