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      Non si capisce cosa c'entrino i riformisti nella rottura dell'equilibrio, ma lasciamo andare: se essi si autonominano rappresentanti autorizzati e responsabili della classe borghese e dello Stato borghese, non possiamo che prendere atto e passare all'ordine del giorno: ognuno ha le sue debolezze.
      Cosa si guadagnerebbe? Gli oratori socialisti a chi parlerebbero? Cosa può importar loro il convincere duecento (!?) riformisti? Esistono i riformisti in quanto tali, o non sono un puro atto arbitrario del pensiero, una pura possibilità grammaticale, in quanto qualsiasi nome proprio può essere accompagnato da un aggettivo qualificativo? È il riformista un uomo, o non è esso solo un'astrazione dello spirito pratico? È il riformista un cittadino, o non è egli solo un avvocato, un industriale, uno scribacchino che assume un'etichetta politica per meglio consumare i suoi affari? Sono i riformisti passibili di pensare, di comprendere il pensiero degli altri, di spietrificare il loro cervello, di imprimere, nel disco fonografico che tiene il posto della materia grigia entro le pareti craniche del loro scheletro, questa semplice frase: è possibile che ci sia chi non è riformista?
      A che servirebbe dunque l'accademia? L'equilibrio ideale non è stato rotto tra socialisti e riformisti, ma tra socialisti e Stato borghese, e noi non abbiamo affatto intenzione di fare dei sermoni allo Stato borghese, e ai suoi ministri responsabili per indurli a diventare bravi, a concederci la libertà di polemica e di propaganda.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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