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      Notiamo volta per volta ciò che ci pare interessante tra le manifestazioni della vita borghese, e, per quanto ci è concesso, cerchiamo di promuovere delle spinte ideali dal basso in alto: perché le libertà sono solo tutelate dalle energie sociali organizzate, non dai riformisti e neppure dallo Stato, se non apparentemente.
      Veniamo alla buona volontà del proponente. Essa risulta dall'attività svolta finora: attività diffamatoria, questurinesca. Né poteva essere diversamente. Noi comprendiamo benissimo che il ristretto clan interventista non possa che svolgere solo questa attività: lo disprezziamo ma lo comprendiamo. È un'intima necessità logica. C'è un fine particolare da raggiungere: perché ciò sia è indispensabile che tutte le forze materiali siano mobilitate: la mobilitazione delle forze morali richiederebbe troppa fatica e troppo tempo, e non ne sarebbe certa la riuscita. E allora si scatena la campagna diffamatoria, questurinesca. Siccome non è un ideale, che si vuole realizzare, ma un fatto contingente, non si opera universalisticamente, ma contingentemente. A che pro persuadere, se si può far tacere? E si fa tacere in tutti i modi, con la galera, con l'intimidazione, col ricatto: domani, i numi ci penseranno; come dal pervertimento e dalla stortura attuale possa ritornarsi alla pacifica convivenza, non si vede, e non ci si preoccupa di vedere; quale ammoniaca possa far svanire l'ebreità attuale, nessun responsabile prossimo o remoto si preoccupa di pensare e inventare.
      E dato tutto ciò: dato che il riformista non è uomo, perché non sente l'umanità negli altri, non è cittadino, perché vorrebbe togliere le prerogative della cittadinanza agli altri, dato che non siamo sicuri che il riformista esista in sé se un altro non lo pensa come tale, arriviamo alla piana conclusione di credere che la buona volontà del proponente l'accademia sia solo buona volontà di togliere dalla circolazione cento o duecento socialisti, per infrazione del decreto Sacchi e per delitto di disfattismo, e portare poi la carniera rigonfia di tanta fresca selvaggina a spasso per le sale e i palcoscenici, a farsi applaudire al suono della marcia reale e dell'inno di Garibaldi.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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