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      È pazzia invece, anzi è delitto, idiota e nefando, pensare alla pace in tempo di guerra, preoccuparsi della pace mentre la guerra infuria, discutere, propagandare, svegliare il pensiero, drizzare la volontà sul soggetto della pace. Rastignac porta all'assurdo scemo il principio. Secondo la sua espressione, non la pace è la norma e la guerra l'eccezione (intendiamo pace e guerra di eserciti ben s'intende, non pace e guerra come forma di convivenza sociale in regime di proprietà privata), ma viceversa: la pace non si fa in tempo di guerra (non lasciamoci ingannare da questa idea caporettista), ma in tempo di pace. La pace si fa cioè quando la guerra si è estinta automaticamente perché una parte è stata sterminata. O umanitari, o pacifisti belanti, non auguratevi la pace per l'amore delle sacre viscere di San Pacifico; nel vostro augurio è implicito lo sterminio assoluto del nemico, e poiché il nemico non si lascia sterminare senza una qualche reazione micidiale, è implicito lo sterminio relativo dei vostri consanguinei. Questa è la logica dell'esterminismo integrale, dottrina della «vera» democrazia italo-francese, che la «Gazzetta» rappresenta cosí brillantemente a Torino, e col quale si vuole indirizzare gli spiriti a una forma di civiltà luminosa, a cucinare la quale non intervenga briciolo di cultura teutonica, espressione della barbarie pangermanista.
      Evviva dunque il senno politico che si manifesta nell'inerzia e nell'assenteismo della storia. I democratici «veri», di marca italo-francese, odiano la dispotica forma di Stato germanica che nega al popolo le vie legali per affermare la sua volontà, per esprimere i suoi giudizi; la odiano in Germania, non in Italia e in Francia.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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