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      La Manonera è la fabbrica dei servitori della borghesia, servitori che si allenano, che si mettono in vetrina, che millantano un credito illimitato. I borghesi sono placidi, pacifici, ma ammirano la violenza quando è utile alla loro dominazione. I servitori si dichiarano disposti a usare la violenza per difendere la borghesia: si armano, arroncigliano i baffi, grugniscono fieramente, arruolano volontari per una «Guardia bianca» che sappia opporsi ai perversi tentativi bolscevichi, inscenano spettacolosi «gesti» con bandiere nere, pugnali e altri arnesi massonici, ma domandano subito una ricompensa. Subito, perché sanno che la festa non può durare molto, perché la stagione di Dionisio volge al suo termine. Piú tardi la concorrenza diventerà difficile: i concorrenti diventeranno folla e il criterio di scelta sarà il concorso per esami o per titoli d'anzianità. La Manonera domanda oggi pubblicità per i suoi capintesta: la pubblicità è la chiave del successo commerciale rapido; i concorsi sono pericolosi. Bisogna farsi un nome, come che sia; bisogna imporsi alla «piazza». Cosí nasce il «balocchismo», praxis della Manonera. Le signore borghesi hanno sempre dimostrato una grande ammirazione per gli squartatori: bisogna sedurre con lo stesso incanto i signori borghesi. Il «balocchismo» diventerà sociale, sarà disinteressato nei suoi fini immediati. I bolscevichi non offrono ricco bottino, ma la borghesia pagherà lei i suoi servitori, dando rinomanza a dei tapinelli delle professioni liberali, e con la rinomanza il modo di allargare la sfera della attività «commerciale». È nella tradizione di tutte le «onorate» società, di tutti i fenomeni di brigantaggio: i piú illustri briganti degli annali giudiziari italiani hanno potuto, spesso per decine d'anni, sfuggire alla giustizia punitiva perché protetti dai grandi proprietari che se ne facevano degli amici e degli strumenti nella lotta di classe contro il proletariato agricolo.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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