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      Perché è stata sconfitta la classe operaia italiana? Perché essa non aveva una unità? Perché il fascismo è riuscito a sconfiggere, oltre che fisicamente, anche ideologicamente, il partito socialista che era il partito tradizionale del popolo lavoratore italiano? Perché il partito comunista non si è rapidamente sviluppato negli anni 1921-22 e non è riuscito a raggruppare intorno a sé la maggioranza del proletariato e delle masse contadine?
      Il compagno S. V. non si pone queste domande. Egli risponde a tutte le angosciose inquietudini che si manifestano nella lettera del compagno G. P. con l'affermazione che sarebbe bastata l'esistenza di un vero partito rivoluzionario e che la sua organizzazione futura basterà nel futuro, quando la classe operaia avrà ripreso la possibilità di movimento. Ma è vero tutto ciò, o, almeno, in che senso ed entro quali limiti è vero?
      Il compagno S. V. suggerisce al compagno G. P. di non pensare piú entro determinati schemi, ma di pensare entro altri schemi che non precisa. Bisogna precisare. Ed ecco cosa appare necessario fare immediatamente, ecco quale deve essere l'«inizio» del lavoro per la classe operaia: bisogna fare una spietata autocritica della nostra debolezza, bisogna incominciare dal domandarsi perché abbiamo perduto, chi eravamo, cosa volevamo, dove volevamo arrivare. Ma bisogna prima fare anche un'altra cosa (si scopre sempre che l'inizio ha sempre un altro... inizio): bisogna fissare i criteri, i principi, le basi ideologiche della nostra stessa critica.


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Sul fascismo
di Antonio Gramsci
pagine 418