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      Giolitti si illuse di trattare il morbo fascista con la stessa cura omeopatica usata nel settembre 1920 con gli operai. Dopo aver facilmente separato D'Annunzio dal fascismo, credette di poter aver ragione di quest'ultimo minacciando Mussolini di rivelazioni sensazionali. Nonostante il suo decreto del luglio 1921, che elevò fino ai limiti dell'assurdo le tariffe doganali facendo ai capitalisti e agli agrari larghe concessioni, Giolitti fu costretto a battere in ritirata dalla volontà irriducibile della destra reazionaria.
      Il gabinetto Bonomi che gli succedette sembrò ancora piú deciso: a Sarzana i carabinieri, a Modena le guardie regie spararono su qualche decina di fascisti che avevano tentato di sostituirsi alle autorità legali. Ma di fronte all'offensiva immediata della reazione che portò al suicidio del generale D'Amelio, comandante delle guardie regie, il governo Bonomi, vistosi privato di tutti i mezzi, non potendo neanche piú impiegare le forze armate per garantire l'incolumità personale dei deputati antifascisti, si ridusse a creare, di sottomano e con il concorso dei nittiani e dei riformisti del gruppo Modigliani, un'organizzazione armata di tipo fascista, quella degli «arditi del popolo».
      Cosí cadde anche il gabinetto Bonomi dopo essere riuscito, con le sue mezze misure, a rendere piú decisa l'avanzata fascista. Il terzo gabinetto, quello di Facta, coronò l'opera dei due predecessori. Facta, un avvocatuccio di provincia, Giolitti, un politico insignificante, dovevano mascherare le grandi manovre strategiche della democrazia, difesa da un gruppo considerevole di industriali e banchieri dell'Italia del nord, per soffocare, se necessario con l'aiuto dell'esercito, il fascismo.


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Sul fascismo
di Antonio Gramsci
pagine 418

   





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