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      ): «Un botoletto ringhioso e sdentato», «La palta anonimamente lanciata ricade sul gru-gno...» del botoletto, «Fognose rodomontate pennaiole»...
      Mario Gioda, Gioda Mario, Paolo Valera, l'amico di Vautrin, Ulisse Barbieri, sangue, sangue, sangue, quarti di disfattista appesi ai ganci delle pubbliche macellerie, uno sputo di Francesco Barberis sulla piattaforma del tramvai, il quarto moschettiere, l'uomo che si risveglia da un sonnellino con un baffo piegato alla Guglielmo, Mario Gioda, Gioda Mario...
      Mario Gioda è un microcosmo. La vita degli uomini e delle cose, la storia dei popoli e della natura hanno avuto un solo fine: creare Mario Gioda. L'intelligenza di quest'uomo è un filtro portentoso che trattiene tutta la polvere d'oro della corrente universale della vita e della storia. Ma ogni uomo, e per forza maggiore ogni creatura eletta, ha il suo grano di follia, ha la sua debolezza; Mario Gioda mette mano alla spada del moschettiere, mette mano allo spiedo del cacciatore di Ossian, mette mano alla livida lama del vagabondo che esce sempre fuori dalle fogne dei bassifondi sociali, e squarta, buca pancini, appende ai ganci della sua fantastica macelleria le membra sanguinolenti dei nemici, se i nemici gli ricordano che egli è stato impiegato in una azienda la cui modernità rifugge da ogni romanticismo di merciaioli ambulanti.
      Si dice — ogni intenditore profondo, ogni attento scrutatore del fascismo ripete — che il fascismo sia un movimento romantico, che il fascismo sia addirittura il romanticismo italiano.


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Sul fascismo
di Antonio Gramsci
pagine 418

   





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