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      Ieri, mentre i resti di Giacomo Matteotti scendevano nella tomba, e al triste rito volgevano le menti, da tutte le terre d'Italia, tutti i lavoratori delle officine e dei campi, e dal Polesine e dal Ferrarese schiavi muovevano a frotte per essere in persona presenti ad esso, i contadini e gli operai che della loro redenzione non disperano ancora, ieri, commemorando Matteotti, un gruppo di operai riformisti chiedeva la tessera del Partito comunista d'Italia. E noi abbiamo sentito che in questo atto vi è qualche cosa che spezza il circolo vizioso degli sforzi vani e dei sacrifici inutili, che supera le contraddizioni per sempre, che indica al proletariato italiano quale insegnamento deve trarsi dalla fine del pioniere caduto sulle proprie orme, senza piú avere una via aperta a sé.
      I semi gettati da chi ha lavorato per il risveglio della classe lavoratrice italiana non possono andare perduti.
      Una classe che si è una volta risvegliata dalla schiavitú non può rinunciare a combattere per la sua redenzione. La crisi della società italiana che da questo risveglio è stata acuita fino alla esasperazione non si supera col terrore; essa non si concluderà se non con l'avvento al potere dei contadini e degli operai, con la fine del potere delle caste privilegiate, con la costruzione di una nuova economia, con la fondazione di un nuovo Stato. Ma per questo occorre che una organizzazione di combattimento sia creata, alla quale gli elementi migliori della classe lavoratrice aderiscano con entusiasmo e convinzione, attorno alla quale le grandi masse si stringano fiduciose e sicure.


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Sul fascismo
di Antonio Gramsci
pagine 418

   





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