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      Non fare il processo vuol dire lasciare una piaga sempre aperta, con la possibilità di una «opposizione morale» ben piú importante ed efficace, in determinate occasioni, di qualsiasi opposizione politica. Ora, che la borghesia, in «ogni» sua frazione, sia disposta a non parlar piú né del delitto né del processo, pur di ridare saldezza al suo regime, è cosa da non mettere in dubbio. Si dice che il tema sia anzi già stato sviluppato, in riunioni delle opposizioni. Ma altrettanto vero è che la campagna sul delitto e per il processo non può essere lasciata in retaggio a gruppi antiborghesi, ad esempio, a un partito proletario. Metter le cose in tacere, non significherebbe infatti ottenere che 39 milioni di italiani se ne dimentichino. Nessuna novità, dunque, per vie normali. La politica del fascismo e della borghesia reazionaria si è inceppata — il giorno in cui l'opinione pubblica è unanimemente insorta per il delitto Matteotti, e Mussolini è stato travolto da questa insurrezione fino a compiere alcune mosse che dovevano avere ed avranno conseguenze incalcolabili — in un ostacolo irremovibile. Per qualcosa di simile e di molto meno grave, ai tempi del processo Dreyfus, la società e lo Stato francese furono portati fino sul limite di una rivoluzione. Era però in gioco, si dice, qualcosa di piú profondo di una questione morale, era in gioco un problema di rotazione di classi e categorie sociali al governo. Ma anche in Italia, e con le dovute aggravanti, è cosí.
      E veniamo quindi al secondo aspetto del problema, al problema sostanziale, non del ministero Mussolini, o della milizia, o del processo, e simili, ma del regime di cui la borghesia ha dovuto servirsi per spezzare le forze del movimento proletario.


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Sul fascismo
di Antonio Gramsci
pagine 418

   





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