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      In realtà le maestranze italiane, né come individui singoli né come sindacati, né attivamente, né passivamente, non si sono mai opposte alle innovazioni tendenti a una diminuzione dei costi, alla razionalizzazione del lavoro, all'introduzione di automatismi piú perfetti e di piú perfette organizzazioni tecniche del complesso aziendale. Tutt'altro. Ciò è avvenuto in America e ha determinato la semiliquidazione dei sindacati liberi e la loro sostituzione con un sistema di isolate (fra loro) organizzazioni operaie di azienda. In Italia, invece, ogni anche minimo e timido tentativo di fare della fabbrica un centro di organizzazione sindacale (ricordare la quistione dei fiduciari di azienda) è stato combattuto aspramente e stroncato risolutamente. Un'analisi accurata della storia italiana prima del '22 e anche prima del '26, che non si lasci allucinare dal carnevale esterno, ma sappia cogliere i motivi profondi del movimento operaio, deve giungere alla conclusione obiettiva che proprio gli operai sono stati i portatori delle nuove e piú moderne esigenze industriali e a modo loro le affermarono strenuamente; si può dire anche che qualche industriale capì questo movimento e cercò di accaparrarselo (cosí è da spiegare il tentativo fatto da Agnelli di assorbire l'Ordine Nuovo e la sua parola nel complesso Fiat, e di istituire cosí una scuola di operai e di tecnici specializzati per un rivolgimento industriale e del lavoro con sistemi «razionalizzati»: l'Ymca cercò di aprire dei corsi di «americanismo» astratto, ma nonostante le forti somme spese, i corsi fallirono).


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Sul fascismo
di Antonio Gramsci
pagine 418

   





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