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      Lasciai Veroli durante un magnifico temporale. I monti dei Volsci e degli Appennini erano avvolti in una tinta azzurro-cupa, e le fuggevoli striscie di sole, facendo spiccare in un cupo riflesso ora questo ora quel monte, illuminando ora un castello ora un convento, producevano su quel fondo oscuro un incantevole effetto. Raggiunto dalla pioggia affrettai il passo attraverso ad una lussureggiante[138] pianura ricca di frutteti e vigneti e mi trovai davanti alla fattoria della Certosa. Essa farebbe davvero onore ad un principe romano. I fabbricati della fattoria sono di aspetto grandioso e, tenuti con somma cura, uniscono in sč i caratteri del convento e del castello.
      Anche qui la regola dei Certosini prescrive che sia dato cibo e bevanda al viandante che lo richiede, ed in caso di bisogno essi devono dare anche alloggio per la notte. Non chiesi nč una cosa, nč l'altra, ma domandai il permesso di visitare la fattoria. L'ispettore, un robusto frate laico, in tonaca bianca, con una lunga barba, non solo mi dette il desiderato permesso, ma mi accompagnō egli stesso in giro. Essendo abituato nel mio paese a figurarmi un fattore come un uomo di maniere piuttosto rozze e dure con alti stivali e speroni, col frustino in mano e la bestemmia sul labbro; un economo in tonaca da frate, colle maniere di un santo, mi sembrō qualcosa di straordinariamente originale. Con una simile guida i nostri primi passi furono naturalmente diretti alla chiesa che č costruita a fianco della fattoria. Entrando nella cappella la mia guida capė, anche troppo presto, di avere con sč un eretico, e il santo economo si gettō in ginocchio con un profondo sospiro,[139] nel quale credetti distinguere il timore per il mio destino dopo morte e la sua bene intenzionata preghiera per la salvezza della povera anima mia.


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Passeggiate per l'Italia
Volume Primo
di Ferdinand Gregorovius
Carboni Editore Roma
1906 pagine 270

   





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