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      A Pompei tutto spira amore e vita; vi si vedono amorini che pescano in uno stagno, satiri che danzano,[181] grilli che tirano un carrettino, baccanti, avvolte nel loro bianco velo, che suonano il tamburello, o recano nelle loro mani misteriose cassette, o sollevano coppe cariche di succosi fichi; qui invece, nella Pompei del medio evo, l'occhio non vede che rappresentazioni di morte e di dolore. In luogo delle stupende imagini antiche qui si contemplano le melanconiche imagini delle catacombe, santi condotti al martirio, fiamme, croci, esseri inginocchiati, con le mani giunte, dinanzi al carnefice che tiene già la spada levata.
      Sarebbe ormai tempo di seppellire nei fiori tutti quei martiri, tutti quei santi, tutti quei crocifissi corrosi dal tempo. Qui la natura ne ha sparsi a larghe mani sulle tombe di quei poveri peccatori e di quei poveri monaci che si tormentavano, si martoriavano nei tempi della più cupa superstizione. Non è forse tempo che pure il cattolicismo circondi di fiori le tombe de' suoi morti?
      All'ingresso della città sorge ancora il castello, altra volta residenza dei baroni, nelle cui prigioni languirono le vittime del feudalismo. L'alta torre quadrata, di mattoni, è simile alla torre delle Milizie a Roma, e probabilmente della stessa epoca. Essa sorge in prossimità di uno stagno che, come lo Stige, sta vicino alla città[182] dei morti ed è circondato da una cintura di canne. Il luogo suscita ricordi mitologici: lo si direbbe il soggiorno delle ombre, visitato da Enea o da Ulisse.


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Passeggiate per l'Italia
Volume Primo
di Ferdinand Gregorovius
Carboni Editore Roma
1906 pagine 270

   





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