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      Nonostante la memoria di Gregorio, la disciplina andò rilassandosi fra i monaci di S. Domenico; al contatto di quella splendida e voluttuosa natura, non è facile, anche[308] ai monaci, non cedere all'umana fragilità; e non a torto provvedeva Benedetto confinando i suoi nella severità di monti selvaggi. Onorio III nel 1221 riunì per sempre il monastero di S. Domenico, hortus deliciarum, come lo qualifica nella sua bolla, a quello di Casamari. Rimase così disabitato per cinque lunghi secoli, finchè Clemente XI vi installò i trappisti, che finirono poi per riunirsi a quelli di Casamari. Finalmente Ferdinando II donò S. Domenico al Capitolo della basilica vaticana che oggi ne ricava un esiguo reddito. La chiesa, di stile gotico, è quasi completamente rovinata e nulla vi è di notevole nel convento; il solo ricordo di Cicerone invita ad arrestarsi in quel luogo.
      Ivi Cicerone, Quinto ed Attico si trattennero in quei colloqui che ci rimangono ancora nei tre libri, de legibus. Da Arpino, passeggiando lungo il Fibreno, pervenuti in insula quae est in Fibreno, vollero fermarsi per riposare, discorrendo di filosofia. Attico non riusciva a saziarsi di ammirare la bellezza del luogo e Cicerone, narrando che spesso vi si recava a pensare, a leggere, a scrivere, disse che trovava in quella località una particolare attrattiva, perchè era la sua culla, quia haec est mea, et huius fratris mei germana patria; hinc enim orti, stirpe antiquissima, hic sacra, hic gens, hic majorum multa vestigia.[309] Aggiunge che quella era già stata proprietà dell'avo suo, che suo padre, malaticcio, di cui fa un grand'uomo, vi era invecchiato negli studi e che alla vista di quel luogo natio, comprendeva il sentimento di Ulisse, che preferiva l'aspetto d'Itaca alla stessa immortalità. Riconosceva che Arpino era sua patria come civitas, ma che propriamente apparteneva all'agro Arpinate, ed allora Attico descrisse le bellezze dell'isola circondata dalle acque del Fibreno, che andavano a rinfrescare quelle del Liri ed erano talmente fredde, che a mala pena vi si poteva immergere il piede.


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Passeggiate per l'Italia
Volume Primo
di Ferdinand Gregorovius
Carboni Editore Roma
1906 pagine 270

   





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